sabato 29 settembre 2007

Il viaggio della vita

Più d'una volta sono stato assalito e sorpreso dal terribile sospetto che il mio rocambolesco viaggio forzato, la mia "little Odissey", ebbe inizio fatalmente durante un viaggio, elemento non poi così ricorrente nella mia vita fino ai trent'anni, percorrendo -in compagnia di una persona a cui ero legato sentimentalmente- le incantate vie senza tempo della fiabesca Romantischestrasse, nella Baviera meridionale (nella foto, Castello di Neuschwanstein).


Stavo vivendo, in stridente antinomia rispetto a quel che sarebbe accaduto, ma in perfetta analogia con le peripezie del "figlio di Laerte, l'accorto Odisseo" (Omero, Iliade, libro III), un momento di gioia e di quiete domestica, in cui pensavo di stringere tra le mani il segreto della felicità, mentre a mia insaputa si consumava un mutamento emotivo e fisiologico che, in seguito, sfuggì completamente ad ogni mia puerile velleità di controllo. La mia ragazza, la mia piccola dolce compagna di quella vacanza desiderata e consumata in allegria, con autentica avidità di piacere, di golosità, di passione carnale e intellettiva, un anno dopo avrebbe radicalmente sconvolto lo scenario attorno a me. Prima avrebbe scoperto, rimanendone lì per lì frastornata, di essere attratta da una sua amica e compagna di studi, quindi realizzò di amarla e di voler avere una storia con lei.
La nostra relazione, il nostro sincero, tenero e tenacissimo legame, la nostra intesa, il nostro intenso rapporto intimo, si sarebbe spezzato per sempre a causa di quel che provava per l'altra persona. Non ho mai più saputo ciò che pensasse di me. Non ho mai più saputo ciò che pensasse di sè stessa. Non ho mai più voluto sapere ciò che avremmo potuto essere, noi due, dopo quella rottura.
Non le ho mai detto, me ne pento e me ne rammarico di non averlo fatto: "sono certo, o perlomeno mi piace pensare, che tu sia felice".

Trattandosi per l'appunto di una metamorfosi, per sua natura irreversibile, essa escludeva implicitamente la possibilità di ritorno della mia esistenza all'identico stato primordiale
(Antoine-Laurent de Lavoisier: Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma).
Tuttavia, queste vicissitudini potrebbero aver avuto una loro origine in precedenza, molto tempo prima rispetto a quei fatti che ebbero un accenno d'inizio in terra tedesca. Un lunghissimo, avventuroso viaggio, iniziato in un altro tempo.
E altrove. Non saprei dire nè quando nè dove. Un fenomeno, allora, senza una direttrice spazio-temporale precisa. Oppure, per passare dalla fisica alla psicologia, una manifestazione intangibile esteriormente, priva di una plausibile connotazione diagnostica e pertanto non sottoponibile ad alcuna efficace terapia.

I concetti di tempo e spazio, d'altro canto, non hanno fondamentale importanza - o meglio ne possono avere anche in misura eccezionale, ma non è condizione essenziale - se applicati al soggetto di questo post, il "viaggio della vita", che bisogna subito distinguere dal viaggio canonico, tradizionalmente associato a concetti geografici e antropologici, e descrivibile attraverso parametri culturali predefiniti: non a caso ognuno di noi può discernere l'argomento di cui tratto, e pervenire autonomamente a una sua definizione di "viaggio".
Tutti i lettori capiranno ciò di cui sto parlando, e molti di loro saranno anche talmente colti e raffinati da stabilire una differenziazione tra viaggio e "spostamento" o "vacanza".
In ogni caso chiunque può associare a un determinato tipo di vicend
a, esperita in prima persona, i requisiti che appartengono all'ampia categoria di significati racchiusa nel vocabolo "viaggio".

Tuttavia l'esperienza che voglio raccontare è un tipo di viaggio perdurante nel tempo, così che per comodità e per chiarezza gli ho attribuito appunto l'appellativo di "della vita".
Al momento, però, non saprei come descrivere la mia idea di "viaggio della vita": non mi sento in grado di nè di fornire nè di costituire io stesso un modello di riferimento; indicare prototipi illustri vissuti nel passato potrebbe risultare fuorviante; in più, non posso definirlo teoricamente, dal momento che non ho inventato una terminologia per semplificare un pensiero "forte", sorretto da un sistema filosofico di valori morali o di altra origine; non esiste alcun "ismo" derivato da questo approccio "errabondo" alla vita. Non padroneggio gli strumenti della filosofia per permettermi di definire quello che penso e che provo. Espongo soltanto alcune idee, anche disordinatamente, su come mi piace vivere e intendo la vita.
Infine, ho realizzato che potevo forse elaborare un metodo pragmatico, individuando prima tracce materiali altrimenti di difficile riconoscimento, per poi cimentarmi nell'ardua impresa di distinguere ciò di cui ho cognizione da altri percorsi di introspezione psicologica ed esperienze di auto-analisi, fatte in casa o sulla scia di dottrine strutturate.
Spero davvero di riuscirci ma ne dubito così come si può dubitare seriamente che a qualcuno interessino queste divagazioni.

Comunque sia, la mia titubanza si deve di sicuro al fatto che ho preso coscienza tardi di stare viaggiando pur senza muovermi, per cui prima di elaborare dei criteri scientifici applicabili da chiunque altro, non nascondo che avrei una certa premura di individuare in che direzione sto andando io per primo.
Oppure, cercherò di essere più sincero e più poetico, utilizzo tale espediente perché in questo modo l'incognita che mi riservo preservarà la freschezza e spontaneità delle mie parole e non renderà arido qualcosa che vibra forte dentro di me: una sensazione di grazia e leggerezza che voglio proteggere. D'altronde il pretesto per creare questo blog sono gli spunti di riflessione che sto condividendo con una persona per cui provo dei sentimenti che non voglio analizzare chirurgicamente, ma sentirli dentro lasciando che maturino, aumentino d'intensità, si affievoliscano, insomma che "viaggino" e vivano di vita propria giorno dopo giorno.

"So soltanto di non sapere", diceva Socrate, e io credo fermamente che non saprò mai quando e come terminerà il mio viaggio: a molte persone sembra che a un certo punto della propria esistenza sia dato scegliere se vivere costruendo le fondamenta delle proprie relazioni umane e affettive utilizzando punti fermi e certezze che supponiamo di avere sempre a nostra disposizione; i
n eterno, come se fossimo noi per primi immortali.
Altri -una ristretta minoranza- credono che si possa vivere costantemente alla ricerca, senza contare su nient'altro che su sè stessi, consapevoli che invece nulla dura all'infinito, niente resta uguale a com'era in principio.
(Eraclito, "Panta rei": Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va).

In queste persone suppongo che si verifichi di frequente un meccanismo abbastanza semplice da spiegare che li spinge a "viaggiare": sono profondamente convinto, infatti, che si intraprende il "viaggio della vita" per mancanza endemica di punti di riferimento, oppure perché dei punti di riferimento che si avevano si è dovuto, voluto e potuto farne a meno. A ben pensarci, si indica spesso, nel linguaggio comune, un "viaggiatore" come una persona in fuga: se ne parla come di colui che "è fuggito via", "scappato da tutti", ecc.
Ma un'assenza di punti di riferimento a volte - anzi sono portato a credere in ogni caso - è l'unico modo che si ha
per ultimare il processo di modellazione delle nostre personalità, ergo per scoprire la propria vera identità.
Se poi, per giunta, si scopre di possedere una personalità ambigua, contraddittoria, bipolare, semplice e complessa al tempo stesso, spontanea e stratificata, istintuale e primitiva ma sui cui si è sedimentata una consapevolezza di tipo empirico, non mi sembra po
ssibile potersi accontentare di avere un sistema inalterabile di punti di riferimento.
Dunque, il viaggiatore non è affatto un fuggitivo, ma è in senso diametralmente opposto, un ricercatore "aperto" a tutti (anzichè orientato a conquistare l'amicizia e l'amore di qualcuno in particolare), perchè non ha bisogno di affidare a uno specifico interlocutore il ruolo di termine di paragone: conosce sé medesimo, sa che in ogni angolo del mondo può trovare situazioni che lo soddisfino, persone con cui realizzare scambi, occasioni di vita.

Il vero viaggiatore, per l'esattezza, è colui che si adatta a qualsiasi struttura sociale che lo ospita, che fa suo il modo di vivere e le abitudini degli abitanti del luogo, che non "visita" ma piuttosto "vive" ogni posto dove si reca, senza cambiare interiormente.
Paul Gauguin si era perfettamente ambientato e aveva trovato linfa vitale per la sua arte immergendosi nella società cattolica, tradizionalista e fondamentalmente bigotta della Bretagna, e poi è andato a stabilirsi nelle isole delle Polinesia, agli antipodi geografici e culturali del microcosmo bretone, dove ha saputo relazionarsi con uomini e donne totalmente scevri da tabù sessuali, che conducevano una vita a stretto contatto con l'ambiente naturale circostante, individuando grazie al confronto con loro nuovi spunti di riflessione tematici ed estetici, ma rimanendo fedele a sé stesso: un artista ammirato dalla spontaneità primitiva, che fosse religiosa o pagana non faceva differenza per lui (nella foto, Femmes à Tahiti).






In definitiva, ritornado ai punti di riferimento su cui ci basiamo per valutare la nostra esistenza, pur conservandone alcuni su cui abbiamo modellato la nostra crescita (genitori, nonni, gli amici di infanzia e dell'adolescenza, i compagni di studio e i colleghi di lavoro, amanti, fidanzati, mariti e mogli) appare verosimile che questo tipo di persone cui appartengo anch'io produca da solo, inconsciamente o in piena consapevolezza, un vuoto attorno a sé.
Forse è il desiderio di vivere liberamente, senza vincoli se non per quanto riguarda la propria sussistenza, ovvero il lavoro o qualsiasi altra attività connessa c
on gli aspetti economici.
Ma perché, volontariamente, crei quest'assenza intorno al proprio essere non lo so per certo: ipotizzo per il bisogno endemico di rinnovare continuamente il sistema a cui ci rifeririamo. Rivolgersi sempre agli stessi modelli di riferimento può portarci infatti a voler conservare un sistema di valori condivisi.
Ci sono infatti molti esseri umani che si dichiarano apertamente conservatori.
La mia opinione è che il loro metodo per preservare lo status quo finora dominante sarà messo definitivamente in crisi quando gli spostamenti sulla Terra e poi nel Cosmo saranno talmente facilitati dalle tecnologie e resi accessibili, alla portata di chiunque, che non potranno più esercitare nessun tipo di influenza sulla popolazione posta sotto il loro controllo.
Gli "immobili", per contrapporli ai "viaggiatori", additano infatti coloro che compiono scelte contrarie alle convenzioni sociali di massa come individui che non sono in grado di apprezzare le cose che già hanno, che non sanno vedere i pregi ma solo i difetti di quel modello sociale, che non credono in nulla e pertanto abbandonano la loro "patria", "terra", "famiglia", "casa". Se si potesse usare il linguaggio dei bambini, direbbero a chi se ne va che è uno che non sa amare.
Questo credo che sia il più grande torto che si può fare a una persona che conduce il "viaggio della vita", il cui interesse sconfina sempre in ammirazione e in passione per il diverso, ma proprio per questo risulta evidente che il suo slancio emotivo sia destato da molti aspetti, da stimoli eterodossi, da modi di pensare e stili di vita differenti: i viaggiatori autentici, i pionieri dell'antichità come gli attuali esploratori, non ritengono mai di sottostimare ciò che hanno a portata di mano, che siano le bellezze del loro Paese o gli affetti delle persone che hanno accanto.
La peculiarità di un viaggiatore di questo genere è che vede del buono in tutto, semmai, proprio perché ha uno spirito critico assai sviluppato e una capacità di giudizio più analitica, individuando non soltanto i limiti e le carenze altrui, ma intravedendo anche maggiori qualità e riuscendo a intuire potenziali punti di forza laddove altri non riescono e vedono solo mancanze.

Si è già intrapreso un "viaggio della vita" quando non si ha una casa dove sentirsi a casa, quando non si hanno obblighi e debiti sentimentali verso nessuno, quando ogni momento è buono per dire "faccio le valigie e parto", quando il sabato sera vado dove voglio e non dove mi costringono ad andare, quando non devo giustificare le mie azioni e le mie omissioni, quando posso scegliere con chi uscire, con chi parlare, con chi mangiare e con chi fare l'amore, quando sono libero di decidere se e chi pregare la domenica o un altro giorno della settimana, cosa fare di giorno e cosa di notte, quando non mi sento in imbarazzo o peggio in torto a esprimere un pensiero senza paura di tradire una confessione religiosa, un partito politico, una disciplina scientifica o un codice deontologico professionale, quando vado a votare senza avere un foglietto con le indicazioni sulle preferenze, quando sono padrone del mio destino e non mi faccio più colpevolizzare, obbligare, ricattare moralmente, sfruttare intellettualmente, e sono così forte da non farmi travolgere dagli eventi, da resistere alle ingiustizie, al brutto, alla cattiveria, all'ipocrisia, al male di vivere, alla tentazione di isolarmi dal mondo, ai pur validissimi tentativi di convincermi a rimanere per lottare.

Ho capito di stare viaggiando quando le interferenze esterne e le scelte altrui non hanno più avuto alcuna ripercussione sulla mia condizione esistenziale, quando mi sono reso conto di essere diventato io l'unico artefice della mia serenità e felicità o l'unico responsabile dei miei insuccessi.

Il "viaggio della vita", come un viaggio che comporta uno spostamento di tipo geografico e un approccio di tipo antropologico, si intraprende allo scopo di esplorare e conoscere, per confrontarsi e contaminarsi.
Se poi è per fare ritorno alle proprie radici, cambiati in meglio, cresciuti e arricchiti culturalmente e interiormente (come l'Ulisse di Omero che viaggia per tornare a Itaca dove lo aspettano i suoi "punti fermi", rappresentati dal potere che vanta sui suoi sudditi e dagli affetti di Penelope e Telemaco, mentre quello di Dante, al contrario, riprende il suo viaggio), o all'esatto opposto per esigenza di recidere queste radici, seguendo una filosofia di vita zingaresca (consiglio la lettura di Bruce Chatwin,
L'alternativa nomade, in "Anatomia dell'irrequietezza"), anche in questo caso, non ho abbastanza elementi di valutazione per stabilire se una delle due premesse possa inquinare e compromettere lo spirito di questo percorso. Per quanto mi riguarda, continuerei ben volentieri a viaggiare fino all'ultimo dei miei giorni, sebbene proprio adesso sia tentato dalla decisione di fermarmi a vivere per il resto della vita in Andalusia, regione soleggiata, bagnata dal Mediterraneo e dall'Oceano Atlantico, ricca pure di montagne, di pueblos di campagna che sono dei piccoli gioielli di edilizia popolare e di città popolose piene di storia, di capolavori artistici e quel che più mi interessa, animate da un brulicare di gente allegra e socievole, disposta a divertirsi e a lasciarsi conoscere sempre e comunque (nella foto, la torre campanaria detta Giralda che svetta sopra la Cattedrale di Siviglia).





Mi conforta, quando penso di volermi fermare qui, il pensiero che il "viaggio della vita" non può essere delimitato, per fortuna, da confini terminologici e paletti contenutistici: esso esiste solo, infatti, per chi sa di starlo compiendo. L' esistenza del viandante è sempre alla ricerca, e non si può mai considerare conclusa, pienamente appagata, dal momento che chi deve riprendere il viaggio può avere una progettualità solamente a breve scadenza, ma mai obiettivi a lungo termine. Tranne, ovviamente, quello di acquisire una coscienza che può permettergli di condurre una vita più serena, priva di ansie e di paure per l'ignoto: niente più di questo. Le sue domande rimarranno infatti senza risposta, come quelle di qualsiasi altro essere umano, a prescindere che sia un individuo dalle vedute aperte o si tratti del più ottuso e retrogrado sulla faccia della Terra. L'unica sostanziale differenza tra i due sarà che il non trovare riposte non spaventerà più di tanto il primo, mentre finirà per atterrire il secondo.

Questo primo post è dedicato a tutti i viaggiatori della vita che ho avuto il piacere di conoscere personalmente e agli uomini e alle donne di passaggio in questa dimensione che prima di me hanno patito la discriminazione degli esseri umani per essersi sforzati di comprendere -a costo di gravi, irreparabili, perdite in termini di affetti e stima dei propri simili-, il senso del nostro breve transito nell'universo.

"Viaggiatori" citati:

Omero
Antoine-Laurent de Lavoisier
Socrate
Eraclito
Paul Gauguin
Ulisse
Dante Alighieri
Bruce Chatwin